Del lento declino dei Messi e dei Cristiano Ronaldo e della mia acidità a 34 anni

Sono nato all’inizio del 1987.

Ho compiuto da relativamente poco 34 anni.

Nel 1872 avrei già superato di 4 anni la speranza di vita, mentre adesso non dovrei essere – a Dio piacendo – nemmeno nel mezzo del cammin.

Discretamente giovane, per le statistiche; estremamente giovane, nell’Italia gerontocratica.

Nonostante ciò mi accorgo di come il tempo passi: mi bastano 3-4 birre per rischiare un importante hangover (no soy joven como antes, borrachera el viernes resaca hasta el martes, canta il poeta) o per rischiare di svegliarmi nel cuore della notte alla ricerca di un salvifico Gaviscon.

Ma non sono qui per scrivere dei miei costumi alcolici.

Sono qui per scrivere di Messi e Cristiano Ronaldo.

Partendo dal primo, classe ’87 come me (il fuoriclasse assoluto di una generazione che ha espresso giocatori per lo più dimenticabili), ne leggevo su ‘l’Ultimo Uomo’.

Rivista sempre interessante, proponeva quattro giorni or sono un lungo articolo intitolato “Messi ha perso una frazione di secondo”.

Un articolo in cui – pur celebrando la vittoria in Copa del Rey (contro un Athletic Club nelle vesti di agnello sacrificale, alla seconda finale di coppa persa nell’arco di una decina di giorni) – emergeva il fatto che Messi non è più quelli di Mi Fist:

“Il problema con il declino di Messi è la sensazione restituita nelle grandi partite, che prima era l’onnipotenza, adesso la frustrazione. Un sentimento che lo rende nervoso, distante dalla felicità pura, anche se apparente, che ha sempre mostrato con un pallone tra i piedi. L’ho visto rabbioso nei confronti degli arbitri, palesemente insoddisfatto degli errori dei compagni. Il calcio che gli sgorga dai piedi con una facilità disarmante non sembra più abbastanza per garantirgli le vittorie in campo, che non aveva nemmeno bisogno di ricercare con la famelica ossessione per la perfezione di Cristiano Ronaldo. Una frustrazione che forse era anche figlia di un ambiente dirigenziale che sentiva ostile, o degli stessi tifosi che gli chiedevano di essere onnipotente di fronte alle disfatte europee del Barcellona. Messi che da Re Mida si trasforma in Oreste, il figlio di Agamennone perseguitato dal suo passato, nel caso di Messi quegli standard impossibili che lui stesso aveva stabilito”.

Andando poi a Cristiano Ronaldo, mi sono trovato a guardare ‘Tiki Taka’, nella versione chiambrettiana (ovvero una versione anche peggiorata rispetto alle edizioni precedenti).

Ed era tutto un criticare il campione portoghese, soprattutto per il movimento in occasione del gol su punizione del Parma, da alcuni descritto come un passo di danza.

E se magari sarebbe stato giusto notare come sarebbe semplicemente stato il caso di non mettere in barriera CR7, di cui già vedemmo i limiti specifici in occasione del ritorno degli ottavi di finale di Champions League contro il Porto, quella che è emersa è stata una critica globale feroce al lusitano, sul cui carro i commentatori nostrani risaliranno il prima possibile – come sempre.

Perché parliamo di un giocatore che è il capocannoniere della serie A con 24 reti.

E che ha a 36 anni.

Non oso pensare di quanto Gaviscon avrò bisogno, a 36 anni.

E se da un lato le critiche sono ingenerose, dall’altro le nostre aspettative dovrebbero essere ricalibrate proprio perché è discretamente normale che col passare del tempo Messi non salti più l’uomo con la fluidità che gli ha consentito di imporsi come il miglior giocatore al mondo durante un decennio ed è normale anche che CR7 perda colpi e si innervosisca, anche perché lo faceva già a Madrid di innervosirsi coi compagni (era il febbraio del 2016 quando si sfogava coi giornalisti: “Se tutti fossero al mio livello, saremmo primi”).

Così, è ancor più ingiusto criticare il quasi 40enne Ibra nelle partite in cui non è decisivo o attaccare il 37enne Samir Handanovic quelle volte che è apparso meno reattivo di un tempo.

Piuttosto, si potrebbe criticare la scelta di continuare a puntare (con lauti ingaggi) su questi giocatori “senior” ché poi dire che possono essere decisivi nel nostro campionato perché il nostro campionato è di basso livello è un po’ un gatto che si morde la coda (non sarà proprio per affidarci ai campioni di un tempo che il nostro campionato è indietro rispetto ad altri campionati dove hanno il coraggio di lanciare tra i titolari i 20enni?)

Ma non è nemmeno questo ciò che mi interessa in questa sede.

Pensavo alla mia acidità (per non parlare dei dolori agli organi interni quando mi sono ritrovato a poter finalmente giocare a calcetto con gli amici) e pensavo a quanto è ingiusto criticare campioni che – per quanto professionisti – invecchiano e forse dovremmo solo ricordare che il tempo passa per tutti, lo sai, nessuno indietro lo riporterà. Neppure noi.

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