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“L’Italia non poteva entrare nella moneta unica”: le parole dell’ex governatore di Bankitalia

Quasi vent’anni fa, il 1º gennaio 2002, per undici degli allora quindici Stati membri, entrava ufficialmente in circolazione, sottoforma di monete e banconote, l’Euro, ovvero la moneta unica dell’Unione Europea. Anche l’Italia, una volta superati tutti i parametri del trattato di Maastricht, nonostante il rapporto debito/PIL del Bel Paese superasse di gran lunga il 60% richiesto, adottò la nuova valuta; alla guida di questa transizione c’era l’allora governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio.

In una recente intervista rilasciata a ‘La Verità’, l’ex governatore ha rinnovato con vigore il suo euroscetticismo, tuttavia è un dato di fatto che la prosperità, più certa che auspicata, da Romano Prodi, all’epoca presidente della Commissione europea, non si sia per nulla concretizzata. Insomma, con l’euro non abbiamo lavorato un giorno di meno, guadagnando come se avessimo lavorato un giorno in più, in realtà molti nemmeno hanno lavorato, ma questa è un’altra storia, fatta di crisi economiche e sanitarie. E nel sentire collettivo, la maggior parte degli italiani avverte ancora oggi come un danno il passaggio dalla lira all’euro, complice di un aumento del caro vita non indifferente.

Come sarebbe stata l’Italia con la lira?

“Un uomo delle istituzioni fa valere le sue idee ma poi rispetta la volontà politica, una volta presa la decisione. Mi sarei potuto dimettere, e ci ho pensato. Ma a cosa sarebbe servito? Gli investitori avrebbero preso atto di una grave frattura istituzionale. La speculazione si sarebbe abbattuta sul Paese. E alla fine il percorso sarebbe comunque proseguito. Oltre al danno, la beffa. L’incontro fra banchieri centrali nel marzo del 1997 essenzialmente mi dava ragione. L’Italia non poteva entrare nella moneta unica e sarebbe stato più saggio – come avevo più volte detto – rimandarne l’ingresso“. Esordisce, così, Fazio aggiungendo in seguito però che il progetto senza l’Italia non sarebbe potuto decollare, nonostante a suo dire con la lira l’Italia sarebbe potuta diventare un concorrente formidabile della moneta unica.

Sembra quasi, però, che si voglia dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, non prendendosi mai direttamente la responsabilità. Si è preferito piuttosto prevedere gli eventi, come un destino ineluttabile, promosso senza remore dalla politica, mentre gli economisti come Fazio stanno a guardare. Se da una parte, infatti, è vero che il gruppo dirigente avesse già scelto di aderire all’eurozona, è anche vero che questo senso di delega rispetto alla decisione ultima fa storcere un po’ il naso ed è anche facile in seguito, col senno di poi, avere, purtroppo ragione: “Avremmo progressivamente perso reddito e produzione industriale. Se l’economia dell’eurozona fosse cresciuta, saremmo cresciuti di meno. Se invece fosse arretrata, saremmo arretrati di più” e la grande recessione del 2008 ha messo a dura prova l’Italia, prossima ad una fine molto simile a quella della Grecia.

Ma per Fazio, comunque, sono stati principalmente due gli errori commessi in questi vent’anni: “Non avevo messo in conto scelte politiche sbagliate che hanno addirittura peggiorato la situazione. Non si sono cambiati direttamente i Trattati, ma lo si è fatto in maniera subdola tramite accordi intergovernativi. Due su tutti: la vigilanza sulle banche e il patto di stabilità e crescita. Anzi, stabilità e basta”.

E il secondo punto, tra i due, è quello più interessante, forse perché riflette un dato difficile da ridimensionare in Italia, ovvero il rapporto spropositato tra debito e prodotto interno lordo: “Il rapporto debito/Pil è una frazione. Il numeratore è superiore al denominatore. Se abbasso il numeratore diminuendo ad esempio gli investimenti pubblici, arretra pure il denominatore. Non servono raffinati modelli econometrici per capire che il rapporto aumenterà. E non parlo dei moltiplicatori che amplificano il tutto. Seguendo i consigli della Commissione Ue abbiamo continuamente aumentato il rapporto debito/Pil da poco sopra il 100% ad oltre il 140%. Poi è arrivata la pandemia”.

K. S.

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