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Scienza e salute

Casi umani di influenza aviaria, milioni di polli abbattuti: c’è da preoccuparsi?

Dopo il caso dello scorso dicembre registrato in Inghilterra, anche negli Stati Uniti un individuo è stato infettato dal virus H5N1, meglio noto come virus dell’influenza aviaria. 

Stando a quanto riportato dai media locali, al momento le autorità sanitarie statunitensi stanno monitorando le condizioni dell’uomo e anche gli eventuali contagi secondari. Finora non sembrano esserci motivi di allarmismo, dato che il caso riscontrato negli USA è riconducibile ad un’esposizione diretta a volatili infetti.

Le fonti di stampa americane precisano infatti che il paziente risultato positivo al virus H5N1 è un detenuto. Il contagio sarebbe avvenuto durante l’abbattimento di pollame negli allevamenti del Colorado: il detenuto rientra infatti in un programma di reinserimento professionale condotto da un carcere dello stato americano.

Ma come sta il paziente infettato dal virus dell’aviaria? Sempre stando alle fonti statunitensi pare che il detenuto presenti solo qualche blando sintomo influenzale: per ora le autorità sanitarie lo stanno trattando con antivirali.

Dieci persone a contatto con l’uomo non sono state contagiate

Da quando è cominciata la nuova ondata epidemica di H5N1, che ha già interessato 34 paesi europei e 33 stati americani portando all’abbattimento di decine di milioni di volatili (in particolare polli da allevamento), il caso americano è il secondo che riguarda gli esseri umani, dopo il primo dello scorso dicembre in Inghilterra.

I due contagi non cambiano comunque l’approccio delle autorità sanitarie, che sottolineano come la trasmissibilità del virus sia scarsissima tra gli umani. Altre dieci persone che sarebbero entrate in contatto con il detenuto sono tenute sotto stretta sorveglianza dalle autorità sanitarie americane, ma al momento nessuno di loro sembra essere rimasto infettato dal virus dell’influenza aviaria.

In realtà, anche sul paziente americano si è ancora in attesa della conferma ufficiale: il virus individuato nel detenuto appartiene infatti al ceppo H5, che è quello a cui appartiene il virus H5N1: tuttavia, dato che mancano ancora i risultati della tipizzazione della neuranimidasi, non si può ancora dire con certezza che si tratti dell’influenza aviaria (sarà proprio questo enzima virale a confermarlo o smentirlo).

Una mutazione renderebbe l’influenza aviaria pericolosissima

Il virus dell’influenza aviaria, come precisano ancora una volta i Center for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti, ha una trasmissibilità altissima in molte specie di uccelli ma ha fatto registrare meno di mille contagi negli esseri umani nel corso degli ultimi 20 anni.

Tuttavia, quanto accaduto con il Covid-19 non può che far riflettere sulla necessità di farsi trovare pronti ad un possibile cambio di scenario.

L’influenza aviaria ha infatti una mortalità negli esseri umani tra il 30 e il 60%: ciò vuol dire che potrebbe bastare qualche mutazione a far sì che il virus diventi più trasmissibile tra gli umani, scatenando una nuova pandemia che sarebbe decisamente peggiore rispetto a quella che abbiamo fronteggiato dal 2020 ad oggi.

Roberto Naccarella

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