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Giallo di Lisa Gabriele, dopo 17 anni arriva la verità: ecco chi l’ha uccisa e perché

L’arresto dell’ex poliziotto arriva dopo un esposto anonimo giunto sul tavolo dei magistrati nel 2018. Il movente e l’arresto del responsabile

Un’attesa lunga diciassette anni quella del giallo di Lisa Gabriele, la 22enne ritrovata senza vita nel bosco per la quale venne inscenato un suicidio.

Un suicidio fin da subito sospetto, nel quale erano emerse moltissime incongruenze.

Ora, quasi vent’anni dopo, per la famiglia arriva finalmente la verità e l’arresto del responsabile: l’ex poliziotto Maurizio Abate.

Il 50enne è stato tratto in arresto dai Carabinieri della compagnia di Rende (Cosenza) in esecuzione di un’ordinanza di misura cautelare emessa dal Gip di di Cosenza dopo le richieste della Procura locale.

E’ stato un esposto anonimo a condurre gli inquirenti verso la verità.

Ora il poliziotto è accusato di omicidio doloso oltre che spaccio e cessione di marijuana al figlio.

Omicidio di Lisa Gabriele, il movente e il responsabile dopo 17 anni di attese

Era il 7 ottobre del 2005 quando quando Lisa venne ritrovata senza vita in un bosco nel cosentino con accanto confezioni di psicofarmaci, una bottiglia di whisky e un biglietto di addio.

Dall’autopsia, però, iniziarono ad emergere le prime incongruenze, mostrando come il suicidio fosse stato palesemente inscenato.

La 22enne, infatti, era morta soffocata, probabilmente da un cuscino, soffocamento che non avvenne neanche nel bosco.

Anche gli accertamenti calligrafici mostrarono che il biglietto non era stato scritto dalla giovane ragazza ma da una terza persona.

Il movente

Come riportato da Cosenza Channel, le indagini condotte dai Carabinieri di Rende hanno consentito di inquadrare l’omicidio nel quadro di una turbolenta relazione sentimentale intrattenuta, all’epoca dei fatti, dalla vittima con l’accusato.

Grazie a un collaboratore di giustizia è emerso come l’uomo, sposato e in attesa di una bambina, intrattenesse clandestinamente una relazione ossessiva con Lisa costellata di reiterate violenze.

Ma non solo.

Alcune persone ascoltate come informate dei fatti hanno confermato che durante la relazione si sarebbero consumate serate a base di sesso e droga.

E ora il Gip di Cosenza non ha dubbi: il movente sarebbe da ricondurre nella volontà dell’indagato di interrompere la relazione con la vittima a seguito del fatto che la moglie aveva appena partorito il figlio avuto insieme.

Il terrore che la relazione extra coniugale venisse fuori e che la donna potesse così sottrargli la custodia del bambino avrebbe spinto Abate ad uccidere la ragazza inscenando il tutto come un suicidio.

L’ultimo periodo della vita di Lisa confermerebbe quando tratteggiato dagli investigatori.

La ragazza, infatti, stava tentando di mantenere la relazione con l’uomo, temendo tuttavia al contempo per la propria vita.

Numerose, infatti, le violenze subite oltre che episodi riconducibili a tentativi di intimidazione e, molto probabilmente, già di tentato omicidio, come la manomissione della sua auto, quelli dei cavi elettrici della sua abitazione oltre che la misteriosa morte della cagnolina di Lisa avvenuta dieci giorni prima del suo ritrovamento.

La lettera anonima e le indagini conducono a Maurizio Abate

Il caso, inizialmente archiviato nel 2009, è stato riaperto nell’ottobre del 2018, quando presso la Procura cosentina era pervenuta una lettera anonima nella quale venivano ripercorsi gli avvenimenti legati alla morte di Lisa.

Alcuni dettagli, noti solo agli inquirenti e dunque veritieri, hanno fatto comprendere come la lettera non contenesse illazioni.

A seguito dei riscontri sono state riaperte le indagini, durante le quali sono state acquisite ulteriori documentazioni quali intercettazioni telefoniche, l’ascolto di persone informate dei fatti e le nuove consulenze medico legali effettuate sul corpo della vittima appositamente riesumato.

Nell’ambito delle indagini la procura di Cosenza ha intercettato molteplici volte Abate, intercettazioni durante le quali sono emerse frasi riconducibili a parziali ammissioni di colpevolezza, così come alcune parole pronunciate dai parenti dell’uomo che confermavano tali dubbi.

Fra queste risultavano sospette alcune frasi in codice che attestavano l’acquisto e l’occultamento sia del narcotico che dello spaccio della sostanza stupefacente.

I carabinieri sono riusciti a scoprire che era la cassetta delle lettere a venire utilizzata come “deposito” dove la marijuana veniva lasciata al figlio a cui veniva comunicato l’arrivo con frasi come “E’ arrivata la bolletta” o “la raccomandata”.

Elementi, questi, che hanno portato all’arresto dell’ex poliziotto.

Martina De Marco

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