Coronavirus, il caso Repubblica Ceca: come stanno le cose? I trionfalismi di marzo 2020 e il pressapochismo di marzo 2021

Ascoltavo ieri, in nottata, Radio Rai 1.

Si parlava di Repubblica Ceca e del perché la Repubblica Ceca sia tra i paesi al mondo con la maggiore difficoltà a gestire l’emergenza coronavirus.

Si addossava la colpa alle aperture natalizie, come d’altra parte confermerebbe Rastislav Maďar, rettore della facoltà di Medicina di Ostrava e membro della task force governativa anti-Covid (poi dimessosi), che in un’intervista alla CNN riportata da Fanpage dichiarava – in merito alle aperture natalizie (aperture di negozi e centri commerciali, avvenute d’altra parte in diversi altri paesi):

“I dati non lo permettevano. I contagi erano comunque più alti di quando nei mesi precedenti si era deciso per un lockdown. E così si moltiplicarono in fretta”.

Ed in effetti, a guardare la curva dei contagi, è possibile vedere un calo a metà dicembre (quando per qualche giorno è stato possibile andare anche in bar e ristoranti – comunque tendenzialmente vuoti, se si va a pensare quanto di norma siano colmi di genti) ma è frattanto possibile vedere come i numeri siano incredibilmente maggiori rispetto al marzo scorso, quando la pandemia scoppiò.

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Ci fu un lockdown tra il 13 marzo e il 23 aprile del 2020 ma già ad inizio aprile il giovanissimo ministro della Salute Adam Vojtech (classe ’86) dichiarava discretamente trionfante in conferenza stampa: “Possiamo dire chiaramente che siamo in grado di gestire relativamente bene la pandemia e che non è la pandemia a gestirci. Non stiamo affrontando un aumento massiccio del numero di pazienti – identificati o ricoverati in ospedale”.

I cechi quasi si burlavano della pandemia, convinti com’erano di averla gestita alla grande.

Si chiudeva tutto, anche i confini, facendo tesoro dell’esperienza dagli altri Paesi colpiti con forza e in anticipo (mi chiedo, a posteriori, cosa sarebbe accaduto se i primi casi fossero stati individuati proprio in Repubblica Ceca).

Ci si metteva tutti le mascherine.

E se non c’erano le mascherine? Si fabbricavano, che ci vuole.

Giunse poi l’estate e – come d’altra parte tanti altri – i cechi pensarono di aver sconfitto il virus e si riversarono in massa nella gettonatissima Croazia.

Io in Croazia non ci andai. Passai solamente un paio di settimane per la mia terra solitamente ben poco ligia alle regole (la Sicilia) e rimasi colpito da quante più mascherine vedevo nella mia raggiante terra rispetto alla Cechia.

Ma erano loro i virtuosi, non noialtri.

A settembre, poco alla volta, i casi iniziarono ad aumentare (come mostrato dal grafico succitato) e quella sicumera è, poco alla volta, scomparsa.

E così si è entrati – ormai da ottobre – in un sostanziale lockdown, con coprifuoco alle 21 (che per brevi periodi è stato posticipato alle 23), con bar e ristoranti e palestre e hair dressers chiusi (in questo ultimo caso, c’è chi lavora nonostante i divieti – con tutti i rischi del caso).

Poche volte si è provato a riaprire qualcosa e s’è fatto subito un passo indietro, sconfessando di fatto il proprio sistema su 5 step: a metà ottobre, si sono aperti bar e ristoranti fino alle 22 per stare 4 per tavolo. Dopo pochi giorni, s’è stabilito di chiudere alle 20. Quindi, s’è chiuso e basta.

E la sensazione è che il Governo navighi a vista e che proponga misure certe volte balzane: una mascherina non basta, è obbligatorio mettersene due. Anzi no, basta usare un respiratore (FFP2 o superiore).

A ridosso di San Valentino, il Parlamento ha votato contro lo Stato d’emergenza proposto dal Governo ma poi lo Stato d’emergenza è continuato.

Lo status quo è che con 10 milioni e 700mila abitanti la Repubblica conta 4571 casi al giorno.

Citando nuovamente Fanpage: “Nel paese sono stati superati gli 1,2 milioni di positivi e i 20mila decessi dall’inizio dell’emergenza sanitaria, ma è soprattutto nelle ultime settimane che la situazione è precipitata: gli ospedali sono ormai al collasso e il primo ministro Andrej Babiš ha annunciato che, come il suo omologo ungherese Orban, il governo sottoporrà alle agenzie regolatorie il vaccino russo Sputnik V affinché venga approvato e somministrato alla popolazione”.

Ma vaccino russo o non vaccino russo (al momento per altro la Repubblica Ceca ha uno dei tassi di vaccinazione più bassi d’Europa) il Governo ceco ha dimostrato – forse ancor più dei colleghi del Vecchio Continente – un discreto pressappochismo e mentre fuori splende il cielo in un anticipo di primavera ci si interroga se le nuove misure introdotte ieri (che poi in realtà non c’è nulla di sostanziale se non il divieto di spostamento dal proprio distretto) possano modificare l’andamento del contagio.

(Per la cronistoria delle misure adottate spasmodicamente nell’arco dei mesi, vi suggerisco di leggere questo interessante report dell’Università di Ostrava)

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