Carceri sudamericane e abusi sessuali: il caso della detenuta uccisa in Venezuela

Il 13 marzo scorso, Daniela Geraldine Figueredo Salazar è deceduta per una ferita d’arma da fuoco riportata in faccia alla stazione municipale di polizia di Zamora a Guatire. La tragica morte della giovane ha scoperchiato il vaso di pandora del sistema penitenziario venezuelano, un sistema che nasconde la sistematicità di comportamenti abusivi e violenti da parte degli agenti.

Secondo l’associazione ‘Una ventana a la libertad‘ (‘Una finestra sulla libertà’) che si occupa dei diritti dei detenuti, molte detenute del carcere sono state costrette più volte ad avere rapporti sessuali con gli ufficiali di prigione, organizzati a loro volta da un ufficiale più anziano. Una teste in forma anonima accusa: “Lui è quello che ci ha costretto ad avere rapporti sessuali sia con cui che con gli altri ufficiali”.

L’episodio non sembra essere un’eccezione. C’è una sorta di sistematicità nelle violenze sessuali nelle carceri venezuelane. Nel 2018 i giornali riportavano di detenute costrette a fare sesso in cambio di una diminuzione della pena.

Le condizioni delle carceri venezuelane (e d’altra parte non solo di quelle venezuelane, ben sappiamo) sono inadeguate: sovrappopolamento, assenza di infrastrutture, mancanza di rispetto e attenzioni, soprattutto per le detenute donne, controlli invadenti, spesso effettuati da agenti maschi, e utilizzo illegittimo della violenza corporale.

Un report del 2015 pubblicato dal ‘Mexico’s National Human Rights Commission’ riporta che almeno in 20 centri di detenzione, gli ufficiali chiedono rapporti sessuali in cambio del semplice accesso ai servizi igienici, a volte in cambio di un letto e – ancora più allarmante – in cambio di protezione dagli atri detenuti.

I diritti fondamentali della persona sono negati da un sistema che li propone invece come privilegi e che li vende ad un prezzo che le detenute possono pagare solo con prestazioni sessuali.

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