“Ovunque nel mondo l’Italia oggi è guardata rispetto a questa problematica come un paese seriamente impegnato”.
Vogliamo iniziare da questa frase che, per una volta, rende onore al nostro Paese per parlare della situazione internazionale legata alle mine (e non solo).
Nella Giornata Internazionale per la Sensibilizzazione sulle Mine (nota anche come Giornata mondiale contro le mine) abbiamo avuto il piacere di parlare con Giuseppe Schiavello, direttore della ONLUS Campagna Italiana contro le Mine.
Una chiacchierata che potete ascoltare / vedere per intero attraverso il video che postiamo di seguito e di cui vi proponiamo un recap delle parti salienti.
Partendo dai numeri delle persone che – ancora oggi – muoiono / subiscono atroci ferite a causa delle mine:
“L’ultimo dato registrato intorno al 2018/19 parla di quasi 7000 vittime, ma sono numeri sempre in difetto perché, per allinearsi su standard non criticabili, registra solamente i dati di quelle persone che dichiarano di essere saltate su una mina per cui ci potrebbero essere tante altre vittime che non sanno su che ordigno sono saltati. Si cerca di rimanere in numeri dimostrabili per non avere critiche dai detrattori di questi trattati”.
Il trattato di Ottawa, i paesi meno virtuosi e i rischi odierni
Trattati come quello di Ottawa, firmato il primo marzo del 1999, Convenzione internazionale per la proibizione in tutto il mondo dell’uso, stoccaggio, produzione e vendita delle mine antiuomo e per la distruzione di quelle inesplose, che ha visto l’adesione di 164 paesi (33 non hanno aderito, vedremo di seguito chi).
Ma la giornata odierna non è dedicata alle mine in senso stretto:
“Oggi celebriamo la giornata dell’azione contro le mine ma per ampliamento logico è declinato per tutti gli ordigni inesplosi”.
Anche perché c’è stata “negli ultimi anni una recrudescenza dell’utilizzo di ordigni improvvisati che sono molto pericolosi, ma i gruppi ribelli che non hanno a disposizione delle mine anti persona fanno uso di questi dispositivi”.
Un utilizzo che sfiora il terrorismo. Come dichiarato dal dottor Schiavello: “Le armi sono diventate un modo per terrorizzare le popolazioni. Daesh (una declinazione dello Stato Islamico, ndr) quando arrivava in Siria cercava di trappolare le case, così le persone al rientro magari soltanto aprendo una dispensa o qualsiasi altra cosa che poteva trarre in inganno magari gli scoppiava una mina”.
Andando a vedere i paesi meno virtuosi nella corsa ad un mondo senza mine:
“Ci sono stati paesi che chiaramente hanno remato contro inizialmente perché alcuni stati preferiscono auto regolamentarsi o non regolamentarsi del tutto. Un passo indietro in questo senso era stato condotto dagli Stati Uniti con la presidenza Trump” (anche se gli Stati Uniti, come la Cina, pur non avendo sottoscritto il trattato avevano di fatto sospeso la produzione di queste mine).
Altri paesi in cui si continuano ad usare le mine a tutt’oggi sono la Libia, al Siria, l’Afghanistan (paese che ha sottoscritto il trattato ma dove i talebani continuano ad usare le mine), il Myanmar (mine usate sia da forza governative e forze ribelli).
Un problema legato che rende complicato il percorso verso un mondo senza mine è che non sempre il costo dello smaltimento delle mine è sostenibile per i paesi che dovrebbero farlo (il dottor Schiavello ha citato l’esempio dell’Ucraina).
Un mondo libero dalle mine: quando?
“La campagna internazionale ha posto come limite, in maniera molto ottimistica, il 2025 – quando dovremmo avere un mondo libero dalle mine”.
Tra quattro anni il mondo riuscirà davvero ad eliminare questo strumento di morte?
“Molto probabilmente non ci si riuscirà ma stiamo andando nella direzione giusta”.
E, spezzando una lancia a favore dell’Italia:
“Era uno dei maggiori produttori di mine al mondo, per altro tra le migliori, ma ha reagito subito a questa campagna sin dal 1993 e ha invertito la rotta diventando uno dei paesi più impegnati in ambito internazionale per lenire le problematiche e le sofferenze legate all’uso di queste mine. S’è dotato di un fondo annuale da dedicare a questi progetti e anche all’universalizzazione dei trattati”.
“Ovunque nel mondo l’Italia oggi è guardata rispetto a questa problematica come un paese seriamente impegnato ed è per questo che stiamo spingendo per un’ultima legge che proibisca agli istituti finanziari di finanziare eventualmente fabbriche che producono mine ma soprattutto in questo momento cluster bomb, all’estero”.
Un ricordo a Paola Biocca
Infine, anche se nell’intervista se n’è parlato all’inizio, doveroso un ricordo a Paola Biocca, vittima nel 1999 di un incidente aereo in Kosovo (dove si trovava per il Programma alimentare delle Nazioni Unite) assieme ad altri undici italiani.
A lei – che nella sua vita s’è tanto impegnata nel sociale, con Amnesty International, Greenpeace e la Campagna Italiana Contro le Mine) è oggi dedicato un “programma attivo da tempo che dà assistenza alle vittime delle mine e tutte quelle persone che, in difficoltà economica, hanno bisogna di una protesi”.