Judo, l’arte marziale per lottare contro la violenza: la vera storia de L’oro di Scampia

Il palinsesto della rete ammiraglia Rai prevede per stasera, alle 21.55, la replica del film ‘L’oro di Scampia’, con protagonista un grande Beppe Fiorello.

Il film, datato 2013/2014, è sicuramente da rivedere per un messaggio di fondo che, purtroppo, mantiene l’urgenza e l’attualità che aveva prima: l’alternativa, sempre possibile benché difficile, a un contesto socioeconomico svantaggiato e sofferente del cancro delle mafie.

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Beppe Fiorello è Enzo Capuano

Enzo Capuano è un insegnante di judo in una palestra di Scampia, quartiere diroccato di Napoli. Benché l’edificio sia fatiscente e poco attrezzato, si propone di essere l’alternativa alla strada per tutti quei ragazzi locali. I valori e i principi di uno sport di contatto sono in netto contrasto però con l’ideologia e i meccanismi della Camorra che si sente privata di ‘beni’ e di facili pedine. Enzo allena, allo sport e alla vita, un gruppo di giovani judoki che comprende anche Toni, suo figlio, un ragazzo particolarmente talentuoso che, oltre le strade di Scampia, vede l’orizzonte delle Olimpiadi.

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Dietro Enzo Capuano

Dietro il personaggio narrativo di Enzo Capuano c’è una storia completamente vera, ovvero quella di Gianni Maddaloni, un Judoka Napoletano che con disciplina e impegno non solo ha raggiunto risultati sportivi notevoli, ma è soprattutto riuscito ad ‘opporsi’ a un destino a cui un contesto socialmente complicato l’avrebbe potuto condannare.

Campione regionale di Judo nel ’78, oggi Gianni Maddaloni è un insegnante di tale disciplina e prima di qualunque nozione tecnica o dimostrazione pratica, accoglie così i suoi ragazzi: “Ricordati che le regole sono importanti, perché un uomo senza regole è un uomo che andrà in carcere”.

All’ombra dei palazzi di Scampia, una palestra, che è più una missione che un’attività economica remunerativa, insegna lotta per lottare contro la violenza. Gianni Maddaloni, la cui storia romanzata è un film e anche un libro, continua a vivere la realtà in una maniera concreta e sempre propositiva, facendo del Judo una missione sociale: “Mi hanno chiamato dal centro di rieducazione Colli Aminei per cinque minorenni in prova ai servizi sociali, due rapinatori e tre spacciatori. Li ho incontrati, ho spiegato le regole del mio ‘clan’ della legalità, sono venuti da me. Tre ce l’hanno fatta: uno fa il pasticciere, uno il restauratore, l’altro è sulle navi da crociera”. La vera vittoria in questa palestra non consiste in mettere al tappeto l’avversario, ma riscattare se stessi.

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