Origini Covid, Pechino non convince: chiesta seconda indagine OMS

Benché sia l’argomento all’ordine del giorno da più di anno, le origini del SARS-CoV-2 sono ancora sconosciute. Il rapporto dell’OMS non serve infatti né a fare chiarezza né a mettere pace.

Secondo gli esperti inviati in Cina per un’indagine di circa un mese, considerando anche 14 giorni di quarantena, avevano già escluso un incidente di laboratorio come origine del pandemia, ma ora il report conferma: “Al laboratorio non sono state individuate falle di sicurezza”.

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Le accuse sulla trasparenza di Pechino: chiesta una seconda indagine

Nonostante ciò, a dubitare della trasparenza di Pechino, soprattutto perché colleghi cinesi hanno sempre accompagnato i ricercatori dell’OMS durante la loro ispezione, è lo stesso direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus: “Servono dati più robusti. Il quadro è parziale, le autorità cinesi non sono state trasparenti, non hanno fornito dati cruciali”.

Parole che rischiano di suscitare una crisi diplomatica internazionale. Infatti se l’origine del Covid rimane misteriosa, benché si escluda la pista della fuga del laboratorio, a non essere misteriosi sono gli attriti tra Washington e Pechino.

Il presidente americano ha espresso preoccupazione a nome degli USA e di altri 14 paesi alleati e denuncia ingerenze del regime durante lo svolgimento dell’inchiesta. Tra i firmatari della dichiarazione del Dipartimento di Stato di Washington, i governi di Australia, Canada, Giappone, Gran Bretagna e Sud Corea: tutti chiedono una seconda indagine.

Meno diretto l’attacco dell’UE che si dice però egualmente preoccupata: “La missione è stata un primo passo utile, ma ha avuto un limitato accesso ai primi dati e campioni raccolti dai cinesi”.

Com’era prevedibile Pechino si è difesa da quelle che definisce illazioni e contrattacca al tempo stesso, rispedendo al mittente le medesime accuse:

Se l’Oms crede di dover indagare ancora e non ha trovato niente sulle origini del coronavirus in Cina, è chiaro che deve spedire i suoi ricercatori in altri Paesi del mondo, magari anche nel laboratorio militare americano di Fort Detrick.

La Cina sostiene e divulga internamente la notizia secondo cui sono state rinvenute tracce di coronavirus negli imballaggi dei prodotti importati. Ipotesi passata al vaglio, ma non supportata da nessuna evidenza.

Il report dell’OMS non offre nessuna garanzia e non certifica nemmeno il mercato di Wuhan come punto d’origine della pandemia, essendo in prima battuta un mercatino ittico. Gli scienziati responsabile del progetto però denunciano la mancanza dei ‘raw data’, ovvero dati grezzi sulle cartelle cliniche dei primi pazienti. Invece dell’anamnesi dei primi pazienti, un riassunto approssimativo dei primi 174 casi.

Oggi che i casi globali raggiungono quasi quota 3 milioni, non ci sono ancora risposte adeguate.

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