Giallo di Mario Bozzoli, le nuove testimonianze ribaltano il caso: le novità

Le dichiarazioni della ex fidanzata dell’accusato Jessica Gambarini, teste chiave del processo, risultano in contraddizione con quelle di un dipendente dell’azienda che spostano, di fatto, l’ora dell’omicidio, uno degli elementi più dibattuti in questo giallo. Le ultime, eclatanti dichiarazioni prima di quella di Giacomo Bozzoli che, per la prima volta, parlerà davanti al giudice 

E’ stato e continua ad essere uno dei gialli più intricati d’Italia quello di Mario Bozzoli, l’imprenditore di Marcheno, nel bresciano, scomparso nel nulla la sera dell’8 ottobre del 2015.

L’imprenditore possedeva un’azienda di famiglia assieme al fratello Adelio e ai nipoti Giacomo, oggi 35 anni, e Alex, di 40. 

Ed è proprio lì che cinque anni fa Bozzoli venne visto per l’ultima volta prima che le sue tracce si perdessero nel nulla.

In un primo momento le indagini si concentrarono su 4 principali indagati, su cui pendeva l’accusa di omicidio e distruzione di cadavere: i due nipoti di Mario Bozzoli, Alex e Giacomo, figli del fratello Adelio, e due operai della fonderia, Oscar Maggi e Aboagye Akwasi. Tutti i diretti accusati, fin dal principio, si sono professati innocenti.

Nel corso degli anni, però, le attenzioni degli inquirenti si sono invece rivolte contro Giacomo Bozzoli, nipote di Mario Bozzoli e figlio di Adelio.

Il motivo? Secondo quanto quanto ipotizzato dalla magistratura, Giacomo Bozzoli avrebbe odiato profondamente lo zio ed era adirato nei suoi confronti per questioni di natura economica che riguardavano l’eredità e la gestione dell’azienda. 

Informazioni, queste, che vengono fuori a seguito delle dichiarazioni rilasciate da quella che, oggi, è la teste chiave del processo: la 30enne Jessica Gambarini, ex fidanzata dell’imputato Giacomo Bozzoli, con cui ha avuto una relazione dal 2008 al 2011.

Durante l’udienza della scorsa settimana del processo in Corte d’Assise a Brescia per l’omicidio di Bozzoli, la Gambarini, come riportato dal settimanale ‘Giallo’, avrebbe parlato come “un fiume in piena”, rilasciando dichiarazioni fondamentali ai fini delle indagini.

Queste ultime, tuttavia, stridono con quelle rilasciate da altri due testimoni: il fratello dell’imputato, Alex Bozzoli, e uno dei dipendenti della ditta inizialmente accusato dell’omicidio: Aboagye Akwasi. 

“Odiava lo zio, lo voleva uccidere e aveva un piano”: parla l’ex di Giacomo Bozzoli 

“Giacomo Bozzoli ha sempre palesato il suo odio nei confronti dello zio, tanto che mi ha ripetuto che il suo intento era quello di ucciderlo” – ha dichiarato la Gambarini, che in più sedi ha ribadito che il suo ex fidanzato non solo manifestò di voler uccidere lo zio, ma specificò anche dettagli sul modus operandi che avrebbe adottato.

Giacomo, inoltre, stando a quanto riferito dalla teste, avrebbe provato a coinvolgere nell’ipotetico omicidio anche lei:

“Mi ha sempre detto che io avrei dovuto prendere la sua Mercedes ML e transitare davanti a casa dello zio, poi avrebbe aspettato lo zio fuori casa, dove c’è una risalita con un boschetto e lì lo avrebbe colpito, non so come. Dopo indossando due stivali di due numeri più grandi per non lasciare impronte, avrebbe passato la notte nel bosco e il giorno seguente io sarei dovuta andare a prenderlo da un’altra parte – ha dichiarato durante l’udienza, aggiungendo un altro importante dettaglio –

Di certo mi disse che mentre lui lo ammazzava io avrei dovuto transitare a bordo della sua auto in autostrada, in modo che il Telepass registrasse il passaggio. Così avrebbe avuto un alibi”.

Una richiesta, questa, che la Gambarini ha declinato, a suo dire, categoricamente.

Nel corso dell’udienza la donna ha descritto l’ex fidanzato come un uomo violento che la picchiava ripetutamente. Elementi, questi, che hanno concorso, secondo Giallo, a far sì che i giudici ricostruissero la personalità dell’imputato.

Fatti, questi, che dovranno essere appurati dai giudici.

Ma in realtà è proprio su questo che si sta basando la difesa, ossia sul fatto che le dichiarazioni della donna non sono attendibili in quanto, offesa dal fatto che Giacomo Bozzoli la lasciò, si sarebbe vendicata a tempo debito.

Le ragioni che avrebbero spinto, secondo la Gambarini, il Bozzoli a commettere l’omicidio sarebbero di natura economica e “umana”:

“Sul motivo per cui odiasse lo zio” – ha esordito “mi diceva che era per l’eredità. Poi dava della “poco di buono” alla zia Irene (la moglie di Mario Bozzoli, ndr) e dei cugini, i figli di Mario, diceva che non erano capaci di fare due più due. Non li riteneva alla sua altezza”.

Un altro elemento a sfavore dell’imputato, secondo la testimone, è il fatto che, a suo dire, Giacomo Bozzoli fosse in possesso di diverse armi, come “armi da taglio, un coltello a serramanico e altri che portava con sé. Aveva anche una pistola revolver nella camera matrimoniale dei genitori”.

Caso Bozzoli, gli orari non tornano: la dichiarazione di un teste sposta avanti l’ora dell’omicidio

Ma nonostante le dichiarazioni della teste porterebbero inevitabilmente a un quadro nel quale è chiaro il movente che avrebbe spinto l’imputato a commettere l’omicidio, una nuova testimonianza porta la magistratura nella condizione di dover rivedere molti degli elementi che erano dati per certo.

In primis l’orario. Ciò che non quadra, infatti, è proprio l’indicazione del lasso temporale nel quale l’omicidio si sarebbe consumato.

Gli investigatori sono infatti convinti che il reato abbia avuto luogo tra le 19 e le 19.30 dell’8 ottobre del 2015.

Ad aggiungere nuovi, fondamentali, dettagli due testimoni, e non due testimoni qualunque. Si tratta di Alex Bozzoli, fratello di Giacomo, e un altro operaio, Aboagye Akwasi detto Abu.

Alex, che ha difeso il fratello, non solo ha negato che non vi fossero diatribe con lo zio e che, anzi, gli affari e i rapporti umani filavano lisci e andavano a gonfie vele, ma ha aggiunto nuovi particolari sugli orari:

“Quando sono sceso da casa per andare nella portineria ho incrociato Kasse Mandaw (un operario, ndr) che usciva. Non ricordo l’orario ma poi abbiamo visto che aveva timbrato il cartellino alle 19.10 e la macchinetta aggiungeva 5 minuti in più. Quindi ho incontrato Giacomo che era nella sua auto e stava uscendo.

Il giudice Spanò, come riportato da ‘Giallo’, gli ha fatto notare che non aveva mai detto questo particolare, nonostante fosse effettivamente fondamentale per gli inquirenti, ma Bozzoli ha risposto così:

“Non credevo fosse importante”.

Inoltre, stando a quanto riportato dal quotidiano il Giorno, l’operaio che chiamavano Abu avrebbe dichiarato di aver visto per l’ultima volta l’ex datore di lavoro sparito alle 19.30:

“Sono sicuro perché avevo l’orologio sulla ruspa che guidavo in quel momento e anche il cellulare che ho sempre con me”, avrebbe dichiarato.

Giacomo Bozzoli sarà ora chiamato a rispondere delle accuse mosse nei suoi confronti il prossimo 9 dicembre, il tutto da uomo “libero” in quanto nei suoi confronti non sono mai state prese misure cautelari.

Saranno i giudici a valutare l’attendibilità dei vari teste, attraverso la quale si potrà risalire all’effettivo orario della scomparsa.

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