La Russia invade l’Ucraina: perché? Tutte le ragioni del conflitto

Non è semplice svegliarsi con la consapevolezza di avere la guerra accanto casa. E’ una sensazione strana, nuova, difficile da assimilare. Abbiamo sempre visto la guerra in posti distanti, esotici, lontani dalla nostra percezione, dalla nostra vita, come qualcosa che non ci appartiene, fino a ieri mattina, quando ci siamo svegliati con una nuova consapevolezza.

Carrarmati in Ucraina

I media ne parlavano, Joe Biden così come tutta la Nato e l’Europa erano convinti delle mosse di Putin malgrado le sanzioni paventate; sono state riesumate addirittura questioni annose risalenti a più di 100 anni fa, all’epoca dei zar, dei bolscevichi e dell’Unione Sovietica per spiegare cosa ci fosse dietro le tensioni degli ultimi giorni sul fronte ucraino, ma nessuno poteva mai immaginare cosa sarebbe accaduto il 24 febbraio 2022 tra Russia ed Ucraina.

Cosa è successo ieri in Ucraina

Nella notte tra mercoledì e giovedì, verso le 4 di mattina in Italia, l’esercito russo ha invaso l’Ucraina: diverse città sono sotto assedio, gli attacchi e i bombardamenti colpiscono anche la capitale Kiev, malgrado la demilitarizzazione – un’operazione militare speciale – annunciata da Vladimir Putin riguardasse solo le aree di interesse filorusso principalmente.

Tuttavia, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha parlato di una invasione su larga scala, perché l’attacco russo non si sta limitando alle regioni controllate dai separatisti filorussi nell’est del Paese. L’esercito ha, infatti, conquistato un aeroporto a una ventina di chilometri da Kiev, ma gli attacchi informatici di queste ore complicano di molto le cose: è difficile capire complessivamente come stia procedendo l’invasione, cosa sia finito sotto l’assedio russo e cosa invece no. Sono ore concitate, sbiadite, incalzate da notizie da verificare e posti da esplorare.

Ma il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, è stato molto duro, interrompendo sin da subito i rapporti diplomatici con Mosca, in risposta all’attacco, e in un discorso alla nazione ha parlato dell’invasione russa negli stessi termini in cui i nazisti misero sotto scacco la Polonia. Strano però che il discorso nazisti sia stato usato anche da Putin per giustificare l’assedio: secondo il presidente russo, infatti, il governo ucraino sarebbe in mano ad un gruppo di neonazisti che minaccerebbe la sua tranquillità governativa nonché quella del Paese.

Tornando all’invasione, al momento non ci sono notizie certe sul numero di morti e feriti, che si ritiene però siano già stati decine tra civili e militari. Secondo Zelensky, tuttavia, ci sono stati 137 morti nell’esercito ucraino e 800 in quello russo. E’ stato complicato controllare l’avanzamento dell’esercito russo, la risposta di quello ucraino, e comprendere al momento comunque come stanno le cose, dopo un momento di escalation che sembrava inevitabile ieri pomeriggio, quando diverse esplosioni hanno colpito Kiev facendo temere il peggio, ovvero che la guerra fosse già nel vivo irreversibilmente.

Giorni di immobilismo diplomatico, infatti, hanno accompagnato le istituzioni europee, confuse e in conflitto anche tra di loro sul da farsi rispetto alla Russia. Fino alla proclamazione d’indipendenza delle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, l’Europa è stata molto cauta, non prendendo mai una posizione netta ed univoca. Si poteva parlare, in buona sostanza, di invasione lunedì se già le due aree da tempo erano sotto l’influenza russa? Evidentemente no, ma mentre si cercava di capire come fare per scongiurare un’invasione, la Russia ha portato avanti la sua scelta politica, senza remore e con la complicità di altri eserciti amici.

L’esercito russo è entrato in Ucraina, infatti, attraversando il confine in corrispondenza di diverse importanti città ucraine, e da tre fronti: nord dalla Bielorussia, est dalla Russia e sud dalla Crimea. Da questi tre fronti sono entrate colonne di carri armati, elicotteri ed aerei mirati che hanno compiuto diversi bombardamenti. Tra le conquiste più importanti, si annoverano al momento un aeroporto militare vicino a Kiev e la centrale nucleare di Chernobyl, più incerto, invece, è quale e quanto sia il controllo dei russi nella parte orientale del paese.

Cittadina di Kharkiv

Una cosa, però, è certa. Migliaia di persone stanno cercando di lasciare la capitale Kiev e le altre zone di combattimento, spostandosi verso l’ovest del paese e in certi casi provando ad attraversare il confine con la Polonia e la Romania, tutte due pronte ad accogliere sin da subito i profughi.

Diverse foto hanno immortalato un coda interminabile di auto incolonnate nel tentativo di abbandonare il paese, ma c’è anche chi si mette in fila in farmacia, nei rifornimenti di benzina e negli sportelli del bancomat e nella notte molti cittadini di Kharkiv – città vicina la confine orientale – si sono rifugiati nella metropolitana per ripararsi dagli attacchi aerei. La situazione resta tesa, convulsa e concitata; non è ancora chiaro cosa accadrà oggi, se l’esercito russo si sposterà ancora più a ovest –  sempre nella notte si sono registrati bombardamenti nella capitale – e come risponderanno l’Europa e gli Stati Uniti già a colloquio straordinario per capire come muoversi contro Putin.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire dove tutto ha avuto inizio e perché la Russia  ha deciso di invadere l’Ucraina.

Storia di un conflitto annunciato

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’assetto sociopolitico dei vari paesi dello scacchiere europeo è stato chiaro ed esclusivo sin da subito: da un lato il Patto Atlantico, ovvero la Nato, un’organizzazione che rimane ancora oggi cruciale nei rapporti diplomatici e nelle alleanze occidentali, che ruota attorno agli Stati Uniti e che era nata all’epoca della Guerra Fredda con l’obiettivo di combattere l’Urss; dall’altro, invece, il Patto di Varsavia che faceva capo all’Unione Sovietica, in risposta proprio alla Nato e agli Stati Uniti.

Con la fine dell’Urss, anche lo stesso Patto di Varsavia cessa di esistere, a differenza della Nato che prende sempre più piede, non avendo più avversari. Tantissime ex repubbliche satelliti dell’Unione Sovietica staccatesi dal comitato centrale di Mosca, una volta autonome, sono diventate parte anche dell’Unione Europea, a cominciare dall’Estonia, Lettonia e Lituania.

Ci sono però anche tanti altri paesi che pur non aderendo alla Nato o all’Ue, fungono da cuscinetto tra il mondo occidentale e quello orientale: stiamo parlando della Bielorussia, del Kazakistan, dell’Armenia e della Georgia, ma soprattutto dell’Ucraina, che da sempre ha avuto problemi col suo passato per costruire il suo presente.

I legami culturali e di dipendenza economica dalla Russia si devono anche alle minorità russofone presenti in Ucraina, tuttavia il fascino, ma anche il desiderio dell’Occidente, per la sua economia, per la sua società libera, per il suo modello culturale, in questi anni hanno accelerato un processo di glaciazione dei rapporti con la Russia, non più un modello da seguire e rincorrere.

Eppure l’Ucraina allo stato attuale delle cose, non ha fatto significativi passi in avanti verso l’Unione Europea, né verso la Nato; per intenderci non era nemmeno nell’agenda del Patto Atlantico far entrare Kiev all’interno dell’organizzazione, almeno per il momento, a differenza di altri ex Stati satelliti, come la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca, una decisione comunque già mal digerita da Putin nel corso di questi decenni.

La contesa della Crimea

L’ Ucraina, però, è da diverso tempo particolarmente cara a Putin, soprattutto negli ultimi quindici anni in cui ha cercato di favorire un governo filorusso all’interno del Paese. Il punto di svolta nei rapporti diplomatici, tuttavia, resta l’annessione da parte della Russia della Crimea nel 2014.

All’epoca era al potere in Ucraina un governo filorusso che aveva deciso, tra molte proteste popolari, di chiudere un processo che stava già avvenendo anche formalmente di avvicinamento all’Europa ed aprine un altro per creare relazioni economiche e politiche più strette, invece, con la Russia.

Rivolta di Kiev

Nel giro di qualche giorno ci furono numerose manifestazioni a Kiev, si radunarono sempre più persone nella piazza centrale, Euromaidan, nel tentativo di scuotere l’opinione pubblica internazionale su quanto stava accadendo. Le proteste e la loro repressione violenta, però, finirono per ritorcersi contro il governo in carica: l’allora presidente ucraino, Viktor Janukovyč, fu costretto alle dimissioni e a lasciare il Paese, dando molto spazio così ad un’amministrazione più europeista, eletta dal popolo ucraino, e rendendo di fatto la politica ucraina ed i governi che si sono succeduti negli anni minacciosi per la Russia che ha reagito prima prendendosi la Crimea nel 2014 e finanziando e armando, poi, le milizie filorusse che da allora combattono nella regione orientale del Paese, proprio nelle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, da lunedì legate ufficialmente al Cremlino.

Ma se sul piano politico da quasi dieci anni i rapporti tra Russia ed Ucraina sono inesistenti e si misurano in base alle mosse militari da ambo le parti, c’è anche una ragione se vogliamo “storica” che pesa sull’escalation del conflitto, e non da ieri.

L’Ucraina non esiste

Non è un segreto, infatti, che Putin ritenga in realtà che russi ed ucraini siano un solo popolo, convinzione reiterata anche lunedì scorso durante il discorso di proclamazione delle repubbliche di Donetsk e Luhansk, sostenendo come l’Ucraina non solo non sia una vera nazione, ma anche che di fatto sia uno Stato fantoccio alle dipendenze dell’Occidente.

E la colpa sarebbe dei sovietici, o meglio dei bolscevichi: “L’Ucraina moderna è stata interamente e completamente creata dalla Russia”, ha detto Putin, alludendo al fatto che sulla genesi dello Stato molto sia da attribuire al Partito Comunista all’inizio del secolo scorso. Agli albori dell’Unione Sovietica, il leader del partito, Vladimir Lenin, secondo Putin avrebbe deciso di fare dell’Ucraina una repubblica separata dalla Russia. Ma le cose non andarono così.

La decisione di Lenin rifletteva piuttosto la volontà di garantire all’Ucraina, oltre una propria identità nazionale e culturale già esistente, anche una sua indipendenza economica, cedendo proprio la zona del Donbass, area industriale ed operaria, ad un Paese fino ad allora fortemente a vocazione agricola. Insomma, il nazionalismo ucraino c’era, era presente e si è palesato come un fiume in piena nel 1992 quando, dopo il crollo dell’Urss, il 92,3 % degli ucraini votarono con un referendum a favore dell’indipendenza del Paese.

Cosa accade adesso?

Non è ancora chiaro cosa accadrà nelle prossime ore. Il piano di Putin per quanto mirato a “difendere le persone che sono state vittime degli abusi e del genocidio del regime di Kiev. Faremo in modo di demilitarizzare e de-nazificare l’Ucraina“, come da lui stesso dichiarato, sembra essersi spinto oltre ed in molti pensano che in realtà le intenzioni del presidente russo siano quelle di restaurare una situazione diplomatica antecedente al 1997, quando la Nato non aveva ancora tutto questo forte ascendente sugli ex paesi sovietici, come Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, ed era relegata nella sua classica sfera di influenza occidentale.

Si parlerebbe in questo caso però di una richiesta e di uno scontro che supererebbe i confini ucraini, spostandosi verso Occidente e, più precisamente, verso gli Stati Uniti che in queste ore insieme all’Unione Europea sta ultimando le sanzioni contro la Russia. Mentre sul gas ci sono ancora molte remore soprattutto da parte della Germania, dell’Italia e di Cipro, fortemente dipendenti dal gas russo che è anche la maggior entrata per Mosca, anche per poter continuare a fornire e finanziare il proprio esercito, si parla al momento, anche se in maniera blanda dello SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication).

Lo SWIFT non è un sistema di pagamento, né una banca, ma una rete di comunicazione per gli istituti bancari e, in quanto tale, graverebbe enormemente sull’economia russa. Come riportato dal New York Times, infatti, di fatto si escluderebbe la Russia dal sistema finanziario internazionale, un danno dalle conseguenze incalcolabili.

Se si decidesse di applicare la sanzione senza eccezioni, infatti, molti esportatori e importatori russi sarebbero costretti a trovare soluzioni alternative ai pagamenti, più costose, macchinose e meno sicure: cosa che inevitabilmente impatterebbe l’economia locale, sì, ma anche chi nel resto del mondo esporta beni in Russia o deve importarne. A cominciare proprio dal gas russo, il tallone d’Achille dell’Europa.

Tuttavia, la preoccupazione a livello internazionale resta, soprattutto dopo le dichiarazioni di Putin durante l’invasione: “Oggi la Russia rimane uno degli Stati nucleari più potenti” – ha sottolineato il presidente russo parlando in un certo senso di avanguardia di alcuni settori – “Nessuno deve avere dubbi sul fatto che qualsiasi potenziale aggressore andrebbe incontro alla sconfitta e a gravissime conseguenze se dovesse attaccare direttamente il nostro territorio”. Si tratterebbe, insomma, di conseguenze “mai sperimentate”, ma attendiamo tutta la giornata di oggi intanto per capire cosa ne sarà di Kiev.

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