Referendum, Salvini fugge alla resa dei conti e il centro-destra fa una gaffe dopo l’altra | Le figuracce di Meloni e Berlusconi

Nel centro-destra non ne va buona una. Se lo sconfitto, politicamente parlando, è Salvini, i suoi sodali di certo non aiutano a restituire un’immagine tutta d’un pezzo della coalizione. Dalla gaffe di Berlusconi a quella della Meloni, una vera e propria rassegna dei malesseri (sintomatici) del centro dx

Non è stata di certo una domenica ideale quella di Matteo Salvini, che oggi deve fare i conti non solo con il disastroso esito del referendum, ma con i risultati delle comunali per le quali, adesso, c’è da mettersi a tavolino e fare conti che potrebbero essere tutt’altro che gradevoli per la Lega.

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Ma non è solo Salvini a uscirne con le ossa rotte dalla chiamata alle urne di ieri. Il centro destra in generale, infatti, fra affluenze nefaste e gaffe degli esponenti, da un ritorno d’immagine tutt’altro che positivo, sebbene i risultati elettorali diano la coalizione in testa a livello nazionale.

Referendum: Salvini fugge, ma è il momento della resa dei conti – Il flop totale del leader della Lega

Il referendum meno partecipato di sempre, quello della giustizia per cui erano chiamati ieri gli italiani alle urne, proposta da una delle accoppiate politiche più bizzarre di sempre: Radicali e Lega.

Il 20,9% di ieri si allontana, di gran lunga, dal quorum richiesto, quello del 50% + 1.

Ma non è finita qui.

Se infatti l’affluenza ha battuto il precedente record in negativo, quello del 23,3% della consultazione sulla legge elettorale del 2009, c’è un altro dato che va analizzato: quello dei risultati.

I pochi italiani che si sono recati a votare, hanno votato in maggioranza per il no. Per la precisione, il voto contrario supera il 40% sui quesiti riguardanti l’abolizione della Severino e quella delle misure cautelari.

L’esito è chiaro: la Lega ci ha inizialmente messo la faccia, ha fatto una figuraccia senza precedenti e ora da la colpa a disorganizzazione dei seggi e mass media.

Come d’altronde si era immaginato. Il modo peggiore di perdere ce lo sta mostrando Matteo Salvini.

Una figuraccia dopo l’altra, ma d’altronde i presupposti non erano dei migliori.

Come fa giustamente notare il Fatto Quotidiano, il segretario della Lega è persino arrivato a festeggiare le misure cautelari applicate a quei presunti spacciatori del Pilastro di Bologna (fra i quali ricordiamo la famiglia di quella grottesca sceneggiata della citofonata) senza capire, o meglio, facendo finta di non capire, che se il referendum fosse passato le persone a lui tanto invise sarebbero, di fatto, rimaste a piede libero.

Ma non solo.

Dopo la questione delle firme fantasma mai viste, considerando che quelle popolari non sono state raccolte generando un’insofferenza palese da parte dei radicali, Salvini inizia, per mesi, ad ignorare la questione referendum.

D’altronde il commento di Emma Bonino non lasciava dubbio in merito: “Sembra che non gli interessino più”, aveva commentato en tranchant.

Una diserzione, fa notare sempre il Fatto, che era diventata talmente palese da generare poi un cambio radicale di rotta.

Il leader del carroccio aveva infatti annunciato in pompa magna che avrebbe dato vita a una mobilitazione generale per informare i cittadini sull’importanza di questo referendum attraverso punti informazione con gazebo – che non si sono mai visti – denunciato una censura da parte dei media che avevano ordito un complotto a riguardo.

Ma l’unica mossa di Salvini, alla fine, è stata quella di fare una manovra alla Schettino: abbandonare la nave nel momento di difficoltà.

“Matteo Salvini (che è fuori città con la figlia) è atteso in sede domani per il consiglio federale e la riunione urgente sulla situazione economica”, si legge nel comunicato della Lega, che dovrà lavare i panni sporchi lasciati da Salvini mentre lui se la dà a gambe e si limita a ringraziare gli italiani che sono andati a votare su Twitter.

Ma d’altronde il referendum aveva già preso vita nel peggiore dei modi con una sorta di raccolta firme fantasma che aveva fatto adirare il partito Radicale, e un forfait di Giorgia Meloni su due punti del referendum, quello della Severino e sulla custodia cautelare, definendo quei punti come “figli più della legittima cultura radicale che della destra nazionale”, ribadendo come  “Sicurezza e lotta alla corruzione sono valori non negoziabili“.

Ma se la Meloni ne è venuta fuori indenne dal punto di vista politico, la figuraccia fatta al seggio non è di certo passata inosservata in tutta Italia.

La Meloni e la super gaffe sulla mascherina al seggio: di male in peggio

Ci prova, Giorgia, a smarcarsi dalle figuracce del centro destra, ma purtroppo le riesce difficile.

Durante le consultazioni elettorali la leader di Fratelli d’Italia si è recata presso la sede del suo seggio, quello della scuola Vittorio Bachelet a la Garbatella.

Appena entrata si è immediatamente lamentata della necessità di indossare la mascherina Ffp2, dicendo: “Una follia la mascherina al seggio, ah?”.

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Il suo staff l’ha immediata informata come oramai l’utilizzo della mascherina non fosse obbligatorio ma, nonostante ciò, non ha voluto toglierla.

Una terribile gaffe, considerando che pochi giorni prima il collega Matteo Salvini aveva definito “un bavaglio sul referendum” l’obbligo di indossare la mascherina, obbligo poi trasformatosi in “forte raccomandazione” da parte dei ministri della Salute e della Giustizia Speranza e Cartabia.

Cosa avrà voluto comunicare, la Meloni, con la decisione di tenere indosso la mascherina?

Centro-destra, una gaffe dopo l’altra: Berlusconi si perde la scheda e incolpa il seggio che lo smaschera

Anche il cavaliere è andato alle urne a votare, e non ha mancato l’occasione di far fare un’altra figuraccia alla destra.

Durante la votazione per il referendum Berlusconi si è perso una delle schede.

“Ne manca una”, ha lamentato uscendo dall’urna.

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Dopo un breve temporeggiare per risolvere il mistero della scheda scomparsa, per la precisione quella gialla sulla separazione delle funzioni dei magistrati, gli hanno fatto notare come quest’ultima fosse piegata all’interno di un’altra scheda: “Sono una dentro l’altra presidente”.

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Uno scivolone dopo l’altro.

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