“Preferisci un figlio gay o interista?” | mobbing omofobo alla Lidl, arrivano le condanne

La condanna arriva a tappeto e riguarda tutti i soggetti coinvolti nell’atteggiamento vessatorio e omofobo nei confronti della dipendente che ha manifestato, a causa loro, serie problematiche nella sua salute mentale

Angherie, soprusi, insulti a sfondo omofobo e mobbing: sono solo alcuni degli atteggiamenti messi in atto da caporeparto e coordinatori nei confronti di una dipendente omosessuale.

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Atteggiamenti di vessazione quotidiana messi in atto dal 2006, anno di assunzione della dipendente in una sede della catena di supermercati Lidl, e che hanno portato la donna, una quarantenne di Massa Lombarda, a un tracollo nervoso.

Sono stati condannati tutti, senza esclusione, e le accuse a loro carico, oltre che i risarcimenti, sono pesanti.

Ecco cosa è accaduto.

Vessazioni e insulti omofobi a una dipendente: condannati in 4 a Ravenna

Come anticipato questa storia inizia nel 2006 quando la donna viene assunta all’interno della nota catena di supermercati Lidl.

E’ stato l’orientamento sessuale della donna, dedotto dal suo stile di abbigliamento, a far scattare un mobbing violento durato quasi un decennio.

Angherie che si sono manifestate tramite l’imposizione di lavoro notturno, offese in pubblico, minacce, rimproveri e mansioni squalificanti, ma anche attraverso vessazioni extra lavorative.

Fra queste proposte sessuali oltre alle costanti ingenerenze nella vita privata della dipendente.

Un episodio, in particolare, viene riportato nel fascicolo, quando il caporeparto Emanuel Dante, un 43enne di Conselice, il “promotore” per eccellenza degli atteggiamenti di mobbing, aveva chiesto dinanzi alla donna a un camionista addetto ai rifornimenti se preferirebbe avere un figlio gay o un figlio tifoso dell’Inter.

Atteggiamenti messi in atto ogni giorno per lunghi anni, e che hanno provocato alla dipendente serie ripercussioni sulla sua salute mentale.

Attacchi di panico e di ansia sono rientrati all’interno di un quadro clinico sintomatologico che i medici hanno valutato come stress lavorativo.

E’ da questa diagnosi che sono partite le accuse di lesioni personali nel fascicolo aperto dal sostituto procuratore Antonio Vincenzo Bartolozzi.

La 40enne a la compagna, entrambe assistite dal legale Alfonso Gaudenzi, non hanno retto più quella tortura lavorativa che ogni giorno dovevano subire.

La condanna per mobbing omofobo

Nella giornata di ieri è arrivata la condanna dal giudice Tommaso Paone: 3 mesi al caporeparto Emanuel Dante, e una multa di 500 euro, invece, per Pietro Rocchi, 52enne di Riolo Terme, Claudio Amatori, 56enne di Rimini, ed Emiliano Brunetti, 42enne di Ferrara, tutti coimputati.

Caporeparto, responsabili regionali per l’amministrazione e la logistica e il procuratore speciale della ditta sono stati ritenuti direttamente responsabili di lesioni personali nei confronti della dipendente.

Accusa, questa, ricaduta inizialmente nei confronti di Dante e poi estesa agli altri 3 dirigenti.

Costoro sono stati responsabili, per altro, di aver omesso lo svolgimento del test di valutazione da stress lavorativo, attraverso l’adozione di un documento che il sostituto procuratore ha definito come “del tutto generico” e realizzato senza aver interpellato il rappresentante per la sicurezza dei lavoratori per un suo parere.

La condanna ricade anche sulla stessa azienda, la Lidl, che dovrà risarcire il danno che dovrà essere liquidato in separata sede nei confronti delle parti offese.

Il giudice, alla fine, ha demandato la procedura di quantificazione del danno alla sede civile, a fronte della richiesta di risarcimento iniziale avanzata dalla dipendente di un ammontare compreso fra i 70 e i 100mila euro.

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