Follia videoludica: padre perde ai videogame e massacra di botte il figlio, uccidendolo

Un padre infuriato dopo aver perso una partita al videogame a cui stava giocando ha ucciso di botte il figlio appena nato.

Sin dal tempo in cui è uscito Carmageddon, videogioco del 1997 basato solo ed esclusivamente sull’investire i passanti con un’auto, si è compreso che alla base del successo di alcuni videogiochi c’era una componente violenta. La diffusione e la fama ottenute dal videogame, infatti, hanno fatto interrogare le autorità sulla possibilità che questi strumenti di divertimento, questi passatempi, potessero essere una matrice della violenza nel mondo. La medesima domanda, seguita da polemica e feroci attacchi al medium videoludico si è ripetuta negli anni diverse volte.

Tra i videogame tacciati di istigare alla violenza c’è stato più volte Gran Theft Auto, ma di recente sotto accusa ci sono finiti anche i first person shooter online, come Fortnite, Call of Duty o Doom. D’altronde se negli Stati Uniti d’America c’è un’alta percentuale di sparatorie non può essere colpa della facilità con la quale ci si procura le armi, ma dev’essere colpa di qualcosa che induce i più giovani ad utilizzare le armi in quel modo. Questa più o meno è la posizione che Trump ha adottato quando ci sono state le ultime sparatorie nei licei.

La violenza nei videogiochi non è direttamente proporzionale a quella nella realtà

La verità è ben diversa, e lo hanno dimostrato gli addetti al settore videoludico pubblicando online grafici e studi che dimostravano il contrario, proprio nel periodo in cui Trump giocava allo scarica barile con i videogame. Le statistiche, infatti, mostrano come di tutti i Paesi in cui si gioca ai videogame, solo negli Stati Uniti c’è un così alto tasso di stragi. La conclusione è semplice: il problema sono le armi e non i videogiochi.

Padre infuriato uccide il figlio, dopo aver perso ad un videogame

La lunga premessa ci serve per introdurre una notizia drammatica, una tragedia, che sembra dimostrare l’esatto contrario di ciò che stiamo dicendo. Lo scorso 24 ottobre un uomo australiano, Joseph McDonald, si è infuriato con il figlio Lucas (un neonato) perché il suo continuo pianto gli impediva di giocare bene alla Playstation. Stanco di sentirlo, l’uomo si è alzato e lo ha colpito in testa. Il rumore ha attirato nella stanza la madre del piccolo, la quale gli ha urlato contro chiedendogli cosa stesse facendo. Questo per tutta risposta le ha detto: “Lo sto fasciando”.

La donna ha capito che le stava mentendo ed ha visto che il piccolo Lucas aveva una ferita alla testa, così l’ha portato in ospedale. Purtroppo il neonato è morto dopo 4 giorni di ricovero. Appare evidente come la colpa di una simile azione sia da attribuire esclusivamente all’uomo. Il videogame non ha alcuna attinenza con la violenza che il padre ha riversato contro il figlio. Tuttavia il dettaglio viene presentato da ogni quotidiano che ne parla in cima, come dettaglio capace di attirare l’attenzione del lettore. Ancora oggi, infatti, ci sono molte persone che considerano i videogame come generatori di violenza.

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