12 anni schiavo, l’attualità di un film ambientato nel 1841 basato sulla vera storia di Solomon Northup

’12 anni schiavo’ è stato un successo di critica e botteghino. Un cast stellare, diretto da  Steve McQuenn, per rappresentare la vera storia di Solomon Northup, musicista e artista di colore, rapito da dei trafficanti, derubato dei suoi documenti e costretto a lavorare come schiavo nei campi per 12 anni. Il contesto storico era quello dell’America della prima metà del 1800, alle porte della Guerra di Secessione che abolirà la schiavitù, ma non le disparità razziali che sono una piaga sociale tutt’oggi. Andrà in onda oggi, 9 maggio, a partire dalle 21.20 su Rete 4.

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La trama di ’12 anni schiavo’

È il 1841 e gli Stati Uniti d’America si autorappresentano come la terra della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e delle contraddizioni strutturali. Questa situazione politica e sociale, che è caratteristica di ogni anno precedente e successivo al 1841, è il teatro della vicenda personale di un talentuoso violinista di colore, Solomon Northup, uomo libero, sposato con due figli, abitante nello stato di New York. Viene abbindolato dalle promesse di successo da due falsi impresari dello spettacolo, che lo porteranno a Washington dove verrà drogato, imprigionato, privato dei documenti e successivamente portato in Louisiana come schiavo.
Lavorerà principalmente nella piantagione di Edwin Epps, un uomo duro e spietato, per quasi 12 anni, tempo in cui non smetterà di lottare per affrancarsi, per sopravvivere e per mantenere la sua dignità, fino all’incontro casuale con l’abolizionista Samuel Boss.
Questi riuscirà a rintracciare la sua famiglia, che lo identificherà e quindi libererà. Solomon, dopo essere stato rintracciato, riconosciuto e liberato dalla sua famiglia, intraprenderà una battaglia legale contro i propri rapitori, senza tuttavia avere successo.

Solomon Northup e George Floyd

La storia che ispira il film è assolutamente vera e lo stesso sfortunato protagonista della vicenda Solomon Northup si è premurato di scriverla su carta appena tornò libero.

“Poiché la mia è la storia di un uomo nato in libertà, che poté godere dei benefici di tale condizione per trent’anni in uno Stato libero e che poi fu rapito e venduto come schiavo e tale rimase fino al felice salvataggio avvenuto nel mese di gennaio del 1853, dopo dodici anni di cattività, mi è stato suggerito che queste mie vicissitudini potrebbero rivelarsi molto interessanti per il grande pubblico”.

La storia nella crudezza della realtà è tragica, eppure non difficile da credere. Dalle memorie dell’uomo, che sembrano essere una copia del ‘candido’ di Voltaire, ci ritorna una descrizione di uno spaccato sociale ingiustificabile.

Il film è veritiero, sebbene edulcorato per lo schermo. Nella biografia l’uomo racconta il rapimento, le 9 ore di frustrate per intimarlo e obbligarlo al silenzio sulla sua condizione di uomo libero, del rischio di morire di vaiolo nel viaggio in mare, racconta di come uomini pii e virtuosi come i pastori usufruissero del lavoro di schiavi, e racconta la crudeltà e il sadismo di Edwin Epps, che puniva sistematicamente gli schiavi con pene corporali molto violente.

Scene che si stentano a credere ma non a vedere. È come se qualcuno oggi scrivesse  un’autobiografia sul fatto che un agente gli avesse premuto un ginocchio sul collo fino a soffocarlo. Un’ipotesi impossibile: non si può scrivere un libro da morto…

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