“Non bastano i domiciliari”: la Procura chiede il carcere per il ginecologo che violentava le pazienti

La Procura di Bari chiede il carcere per Giovanni Miniello, il ginecologo barese arrestato lo scorso 30 Novembre per violenza sessuale aggravata nei confronti di due delle sue pazienti.

Il caso di Miniello è stato reso noto al pubblico italiano dalla trasmissione ‘Le Iene‘ solo qualche settimana fa. Il medico avrebbe approfittato sessualmente di ben 8 pazienti, di cui due hanno sporto denuncia a Settembre 2019 e Giugno 2021. Proponeva rapporti sessuali come cura per il papilloma virus.

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Durante il processo è stato spiegato dal gip il ‘modus operandi’ del ginecologo:  “Approfittando delle condizioni di ‘inferiorità psicologica’ delle vittime, ingenerata di proposito prospettando malattie oncologiche anche con esiti mortali, ha dato esecuzione al proprio programma criminoso sfruttandone il relativo stato di chiara inferiorità e la relativa vulnerabilità pur di raggiungere i suoi turpi obiettivi di soddisfacimento sessuale“.

La Procura aveva già chiesto il carcere ma il giudice aveva ritenuto la misura come “non necessaria”, per cui sono stati disposti gli arresti domiciliari.

Adesso i procuratori Roberto Rossi, Giuseppe Maralfa, Larissa Catella e Grazie Errede hanno impugnato l’ordinanza dei domiciliari, contestando la scelta e richiedendo quella più restrittiva del carcere. Parlano di “aberranti modalità della condotta” del medico:

È evidente come ci si trovi di fronte a un criminale seriale che ha dato ampia prova negli anni di non possedere alcun freno inibitorio e, conseguentemente, il rischio di reiterazione appare elevato oltre misura, sicché palesemente erronea è la scelta di concessione degli arresti domiciliari, laddove ci si trova in presenza di un soggetto che nel corso degli anni in più circostanze ha tenuto in spregio assoluto leggi, etica professionale e morale”.

“Subdolo, istigava le vittime a subire atti sessuali contro la propria volontà”.: le parole dei pm contro Giovanni Miniello

“La prospettazione della possibilità di guarigione dalla patologia attraverso la terapia consistente nella diretta trasmissione di anticorpi tramite rapporti sessuali ripetuti con lo stesso indagato, ove si consideri il peso e la tipologia delle minacce prospettate, ovvero l’evoluzione della patologia in un tumore al collo dell’utero, sia lo stato di inferiorità psichica in cui versavano le vittime al momento del fatto, aveva una efficacia intimidatoria idonea a configurare l’elemento costitutivo della minaccia”.

Secondo la Procura, Miniello avrebbe tenuto nei confronti delle pazienti sue vittime un comportamento di “persuasione sottile e subdola, finalizzato a spingere, istigare o convincere le vittime a subire atti sessuali che diversamente le stesse non avrebbero compiuto e che, per fortuna, non hanno compiuto per cause del tutto indipendenti dalla volontà della persona sottoposta alle indagini”.

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Le due vittime che hanno querelato il medico per violenza sessuale lo hanno fatto tardivamente, a distanza di mesi dall’accaduto. In merito, i pm hanno sottolineato che le vittime hanno “avuto contezza certa di avere subito una violenza sessuale e non una visita ginecologica” solo molto tempo dopo i fatti.

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