Caso Sara Pedri, ancora un altro grottesco dettaglio: spunta la “bacheca della vergogna”

Prosegue l’inchiesta da parte del Nas di Trento, volta ad appurare le ragioni della scomparsa di Sara Pedri e l’effettivo clima di terrore in cui l’intero reparto, a detta delle testimonianze, verserebbe. E intanto emergono nuovi dettagli, come la grottesca usanza della bacheca…

Più il tempo passa e più, purtroppo, si rafforza l’ipotesi, o meglio la consapevolezza, che possa trattarsi di suicidio.

Stiamo parlando del caso di Sara Pedri, la ginecologa che lavorava presso l’ospedale Santa Chiara di Trento e misteriosamente scomparsa il 4 marzo del 2020.

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E’ quasi passato un anno da quel tragico giorno, quello dopo le dimissioni della dottoressa dal reparto di ginecologia.

La paura della famiglia, come riferito a Fanpage, è che Sara si sia tolta la vita a causa delle gravi conseguenze psicologiche del mobbing subito sul posto di lavoro.

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Stando a quanto emerge da molte testimonianze, infatti, nel reparto del Santa Chiara l’aria era a dir poco irrespirabile, al punto che tantissimi dipendenti, nel giro di pochi anni, si siano dimessi spontaneamente per richiedere un trasferimento.

Un clima che, se confermato, avrebbe spinto Chiara al gesto disperato, forse per porre fine alle sue sofferenze. 

La ragazza, infatti, descritta come molto espansiva e solare, non avrebbe retto il clima di terrore che vigeva nel reparto.

Due gli indagati nell’inchiesta portata avanti dal Nas di Trento: Saverio Tateo, ex primario del reparto, e la dottoressa Liliana Mereu, sua vice.

Questi ultimi avrebbero messo in atto una strategia fatta a colpi di umiliazione, terrore e abusi nei confronti dei dipendenti, ed è per tale ragione che le accuse mosse nei loro confronti sono di maltrattamenti e abuso di mezzi di correzione.

La becheca della vergogna nel reparto di ginecologia di Sara Pedri

A fornire il suo parere in merito la vicenda è la sorella di Sara, Emanuela, che al Corriere della Sera ha affidato le sue considerazioni:

Sara “era vittima di mobbing” esordisce, per poi sottolineare il fatto che la sorella “si era convinta di essere lei il problema ma non era la sola a subire vessazioni. Il personale era così abituato a vivere in un clima tossico, operato dai vertici, che era diventato la normalità”.

Ed è proprio questo “clima tossico” che, a detta della famiglia, avrebbe spinto la giovane ginecologa, secondo le ipotesi, a gettarsi nel lago di Santa Cristina, vicino al luogo in cui è stata ritrovata la sua auto abbandonata.

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Accuse che Tateo ha respinto categoricamente, soprattutto in relazione al fatto che i pazienti riconoscevano allo staff i risultati d’eccellenza.

“Ma il punto sono i lavoratori” ribadisce Emanuela, che pone in evidenza il fatto che siano stati tanti, in quel reparto, a star male.

La ginecologa si diceva terrorizzata al tal punto di non essere in grado di proseguire, arrivando a dare la colpa a sè stessa per la mancanza di capacità nel resistere nel proprio ambiente di lavoro.

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A tal riguardo uno dei sanitari chiamati a testimoniare dalla Procura di Trento parla di un clima di “caccia al colpevole”:

” […] Che sia un caso problematico in sala parto, un parto difficile, qualsiasi tipo di problema, sembra che la priorità sia quella di trovare un colpevole”.

Come riporta Fanpage, ad ulteriore conferma ci sono le tantissime lamentele e segnalazioni che la consigliera che si occupa di mobbing sul lavoro ha ricevuto, riportando un episodio grottesco che riguarda la presenza di una bacheca affissa nella guardiola dell’ospedale in cui veniva scritto il nome di chi sbagliava.

Una pratica umiliante, che emerge dalle carte depositate in Procura e diffuse in esclusiva dal Corriere della Sera.

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