La bomba di Report sulla “pista nera” nella strage di Capaci fa scattare le perquisizioni della magistratura

La perquisizione era stata disposta proprio tre giorni prima della messa in onda della trasmissione, che indaga, attualmente, sul legame fra l’estrema destra e la mafia nell’attentato di Giovanni Falcone

Il boom di perquisizioni di questo periodo si conclude, o meglio, culmina con la più clamorosa: quella del giornalista di Report Paolo Mondani.

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Dopo le perquisizioni avvenute nella sede di Milano del gruppo Fridays for Future e quella del figlio minorenne di Selvaggia Lucarelli, Leon, per aver manifestato contro l’alternanza scuola lavoro, è il turno di Mondani.

Nella puntata di ieri Report ha sganciato una bomba gigantesca sul caso dell’attentato al giudice antimafia Falcone, proprio a ridosso dell’anniversario della sua morte assieme a quella della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta.

Fulcro del servizio titolato, significativamente, “la bestia nera”, i rapporti fra l’estrema destra e la mafia nell’attentato contro Falcone.

La direzione investigativa antimafia, sotto mandato della procura di Caltanissetta, ha perquisito sia la redazione di Report che l’abitazione dell’inviato nonché autore del servizio in questione, Paolo Mondani.

Giornalista e redazione di Report perquisiti: le ombre dietro la strage di Capaci

Il procuratore Salvatore De Luca ha assicurato che la perquisizione eseguita “a carico di un giornalista di Report, che non è indagato, non riguarda in alcun modo l’attività di informazione svolta dal cronista, benché la stessa sia presumibilmente susseguente a una macroscopica fuga di notizie, riguardante gli atti posti in essere da altro ufficio giudiziario”.

E’ stato Sigfrido Ranucci, autore e conduttore della trasmissione nonché vicedirettore di Rai 3 a dare notizia dell’accaduto e spiegare le ragioni.

Su Facebook, infatti, Ranucci specifica come l’obiettivo di tale azione “sarebbe quello di sequestrare atti riguardanti l’inchiesta di ieri sera sulla strage di Capaci nella quale si evidenziava la presenza di Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia nazionale, sul luogo dell’attentato di Capaci. Gli investigatori cercano atti e testimonianze su telefonini e pc”.

Sempre Ranucci ha voluto chiarire la sua posizione e quella dei giornalisti del programma nei confronti dell’accaduto. All’Ansa, infatti, specifica come vi sia, da parte sua in quanto autore e dei colleghi, “la massima collaborazione”, ribadendo di essere contenti se il loro lavoro sia stato un “contributo alla magistratura per esplorare le parti oscure”.

“Il collega” – evidenzia poi il conduttore –aveva già avuto un colloquio con il procuratore. Noi siamo sempre stati collaborativi con la giustizia, pur garantendo il diritto alla riservatezza delle fonti”.

Salta poi all’occhio il fatto che la data della perquisizione riporti proprio la data del 20 maggio, ossia “tre giorni prima della messa in onda del servizio”.

“Non è un atto ostile nei nostri confronti – conclude Ranucci – Ovviamente abbiamo messo al corrente l’ufficio legale, l’ad Fuortes e il nostro direttore”.

E’ stata poi la Procura di Caltanissetta a chiarire come tale perquisizione avesse come obiettivo quello di “verificare la genuinità delle fonti” su cui si è basato l’intero servizio di Report, specificando sempre come tale atto non riguardi le sue attività giornalistiche, sebbene queste ultime siano susseguenti a “una macroscopica fuga di notizie riguardante gli atti posti in essere da altro ufficio giudiziario sia nel corso delle conversazioni intercettate, che nel corso degli interrogatori da lui resi, al pubblico ministero e ai carabinieri, il collaboratore di giustizia Alberto Lo Cicero“.

Quest’ultimo, oggetto di interesse nel corso del servizio “non fa alcuna menzione di Stefano Delle Chiaie – dichiara nella nota De Luca, il procuratore di Caltanissetta – Sono del tutto destituite di fondamento le affermazioni circa la sussistenza di specifiche e tempestive dichiarazioni rese da Lo Cicero sugli argomenti sopra indicati e, quindi, che sarebbe stato possibile evitare la strage di Capaci ed anticipare di alcuni mesi la cattura di Salvatore Riina”.

La mano dell’estrema destra nella strage di Capaci: la bomba di Report

A distanza di trent’anni da una delle peggiori stragi che l’Italia abbia mai vissuto, la Direzione nazionale antimafia e il pm di Caltanissetta tornano a battere quella che viene definita come “pista nera” nell’attentato di Capaci.

Oggetto dell’indagine sono, attualmente, i colloqui investigativi di natura confidenziale risalenti al 1992, e che, per la loro tipologia, non erano utilizzabili nel contesto processuale.

E’ in quelle registrazioni che emerge dalle parole di un pentito e di una testimone la presenza dell’estremista di destra Delle Chiaie esattamente a un mese dalla strage sul luogo in cui quest’ultima avvenne.

Il leader di Avanguardia Nazionale, stando a questa pista e al servizio di Report, avrebbe incontrato uno dei boss della mafia prima di andare alla ricerca di grosse quantità di esplosivo all’interno di una cava.

Il pentito è Alberto Lo Cicero, ai tempi autista del boss Mariano Tullio Troia. A parlare, sia in quell’anno che negli interrogatori del 2006, e oggi testimone protetta è la sua compagna, Maria Romeo, intervistata proprio da Report.

Sempre nella puntata di ieri vengono fuori le dichiarazioni anche dell’ex brigadiere dei Carabinieri Walter Giustini.

Fu lui a raccogliere quelle che sono definite come le “confidenze” di Lo Cicero. A Report Giustini racconta che l’ex autista parlava di alcuni “strani movimenti” attorno a Capaci proprio nel periodo a ridosso della strage.

Dubbi che venivano confermati dalla presenza in zona di grossi boss di Cosa Nostra. Furono questi elementi a portare gli investigatori sulle tracce dell’autista di Totò Riina, Salvatore Biondino, che sarebbe potuto essere arrestato prima delle esplosioni scongiurando la tragedia, e considerando che il suo arresto avvenne solo nel gennaio del 1993.

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