Il reggaeton meglio della musica classica, lo dice la scienza: ecco perché

Negli ultimi vent’anni la musica reggaeton è diventata uno dei generi musicali più diffusi al mondo.

Stando ad un recente studio pubblicato sulla rivista accademica Neuroscience e portato avanti da alcuni scienziati delle Isole Canarie e della Finlandia, sembra che l’ascolto del reggaeton riesca a stimolare una maggiore attività cerebrale rispetto ad altre forme di musica, inclusa la musica classica.

Lo studio, intitolato “Lo stile musicale modula non solo la corteccia uditiva, ma anche le aree motorie”, mette in evidenza i dati raccolti esaminando l’attività cerebrale di 28 persone diverse che hanno ascoltato musica classica, folk, elettronica e reggaeton.

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Durante lo studio, i ricercatori hanno scoperto che quando i partecipanti ascoltavano il reggaeton si verificava chiaramente una maggiore attività cerebrale rispetto ad altri generi.

Per fare in modo che lo studio potesse avere validità, gli scienziati si sono assicurati che i partecipanti non avessero una formazione musicale. Inoltre, gli esperti hanno utilizzato una risonanza magnetica funzionale per analizzare le aree di interesse nel cervello, ovvero quelle che includevano i gangli della base (piacere ed emozioni), quelle con attività uditiva (elaborazione del suono) e capacità motorie (movimento).

La scoperta potrebbe portare a nuovi sviluppi nella cura per il Parkinson

Il dottor Jesús Martín-Fernández, ricercatore principale dello studio e specialista neurologico presso l’ospedale universitario Nostra Signora della Candelaria a Santa Cruz de Tenerife, ha condotto questo studio unendo le sue due grandi passioni, ovvero la neurochirurgia e la composizione musicale.

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“Quello che abbiamo visto è che il reggaeton riesce ad attivare tutte le aree motorie, l’area piramidale e i gangli della base molto più di qualsiasi altro genere”, ha detto il ricercatore a RTVE.es. “Uno dei pezzi interessanti dello studio è che abbiamo eliminato il contenuto linguistico, è solo musica strumentale”, ha poi aggiunto.

Martín-Fernández ha poi precisato al Washington Post che le aree del cervello osservate nello studio possono essere utili per trovare una cura per il morbo di Parkinson.

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